“Il Grande Vuoto” al Museo d’Arte Orientale, Torino


Il concetto di vuoto, di vacuità, è centrale nella dottrina buddista: il vuoto non è solo l’istante che precede la nascita di tutte le cose, ma è anche il vuoto finale, la liberazione di tutti gli esseri senzienti a livello cosmico. Contrariamente a quanto accade nelle tradizioni culturali e filosofiche europee, dove il termine “vuoto” porta con sé una connotazione negativa che lo avvicina alle idee nichiliste e alla mancanza o alla privazione, per il buddismo il vuoto ha una connotazione positiva, in ultima analisi, legata al raggiungimento della consapevolezza, cioè la comprensione che la vita, con i suoi continui mutamenti, è impermanenza e interdipendenza, poiché tutto esiste solo in relazione all’altro. Comprendere questo, e quindi liberarsi dalla sofferenza della vita, si risolve in una dimensione di pace assoluta (nirvana): è qui che si rivela l’essenza del Buddha, che non è la divinità, ma appunto il Vuoto.
La mostra “Il grande vuoto. Dal suono all’immagine” è dedicata proprio a questi concetti: la mostra vuole offrire al pubblico un’esperienza multisensoriale particolarmente coinvolgente ed è anche un forte segnale di speranza per un futuro incerto e scoraggiante. La mostra si apre con un grande spazio vuoto. Non è uno spazio vuoto, però, ma uno spazio che viene gradualmente saturato dalla presenza delle note del giovane e pluripremiato compositore romano Vittorio Montalti, che ha composto il brano site specific “The Great Void”, dove i silenzi , ritmi, suoni e l’eco dello spazio stesso diventano matrice e metafora della costruzione divina dello spazio rituale: un’opera sospesa tra composizione e installazione sonora, che abita i diversi spazi del Museo. I visitatori sono invitati dalla musica a intraprendere un percorso esperienziale e meditativo, per raggiungere il fulcro della mostra, nella Sala Colonne: lì, infatti, è esposto un rarissimo thangka tibetano del XV secolo, il più prezioso del MAO collezioni, che ritrae Maitreya, il Buddha del Futuro raffigurato in splendide vesti e seduto sul trono dei leoni. Con le mani in bilico nel dharmacakramudra (il gesto di mettere in moto la Ruota della Legge), che rivela la sua futura missione di promulgatore della Dottrina, il Buddha tiene gli steli di piante e fiori, simboli germinali di una futura liberazione. In quanto oggetto religioso e rituale, il thangka, con le sue innumerevoli simbologie, è un mezzo che consente allo spettatore di navigare nelle difficili acque della meditazione e visualizzare i vari attributi della divinità raffigurata (in questo caso Maitreya, il Buddha del futuro ) ed entrare in uno stato meditativo profondo, in cui le immagini, i colori, i gesti ei suoni rappresentati nel dipinto si rivelano in una sublime cosmogonia rituale. L’antico thangka tibetano è qui inserito come la prima immagine, densa e profonda, che si svela allo spettatore dopo un importante viaggio sonoro e spaziale. Osservare questa sacra immagine dopo un viaggio che “pulisce” lo sguardo e l’orecchio attraverso i suoni di Montalti sarà quindi un’esperienza trascendente: un’immagine sospesa, in un bianco rumore di suoni, un vibrante fruscio cosmico, che si apre a una moltitudine di forme e colori e gesti. Questo primo dipinto porta con sé la forza della tradizione tibetana di riprodurre su tela divinità e santi buddisti (i thangka) e che, in epoca moderna, sta all’origine del ritratto fotografico del tulku, a cui la parte finale del la mostra è dedicata. Nelle ultime due sale si trovano infatti centinaia di fotografie di tulku, parte di una raccolta di immagini realizzate dalla fine dell’ottocento ai giorni nostri che ritraggono i Buddha viventi appartenenti alle scuole buddiste e bonpo in tutte le aree del mondo dove il tibetano Si pratica il Buddismo, figure redentrici la cui “mente di saggezza” rinasce in nuovi corpi per condurre l’umanità verso la salvezza e il Grande Vuoto. . . Buddismo. In questo senso, non si tratta di semplici ritratti fotografici, ma autentici oggetti di venerazione, contenenti la sacralità della presenza: si ritiene infatti che l’immagine abbia la stessa potenza del tulku stesso, o più precisamente, che l’immagine e il tulku sono inseparabili.

a Museo d’Arte Orientale, Torino
fino al 4 settembre 2022



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