Delia, crescendo, sognava di vivere davanti a un edificio imponente. Quando si è trasferita in Grecia, anni dopo, ha capito che era il Politecnico di Atene. Se stai visitando la mostra IRL a Hot Wheels, guarda fuori dalle finestre: c’è. Ma i sogni, sai, sono fatti di un intruglio flessibile ma instabile: noi – o anche Delia, se è per questo – non possiamo essere davvero sicuri se la vista fuori da quella finestra sia sovrapponibile alle cornici di quel sogno. Pensaci: sarebbe una deliziosa bambola russa che scopa con la mente. Un lampo luminoso; uscire da se stessi, levitare nel sogno di qualcun altro. Un esercizio che commercia in leggerezza e trasparenza. Gli specchi, come li conosciamo oggi, sono nati augusti cugini di quella finestra. Nel XIV secolo a Venezia, gli artigiani li producevano combinando il cristallo levigato con lo stagno e il mercurio. Enormemente costosi, permettevano agli eleganti di farsi un’idea ad alta risoluzione di se stessi; poi sono diventati comuni, vedendoci rasarci, truccarci, esercitarci con le espressioni facciali. Non sono trasparenti, la loro unica ragion d’essere è sputare controluce e Rainer Werner Fassbinder li amava come una gazza. (Ballo da discoteca a Monaco e New York; vassoi improvvisati per le sostanze furiosamente ingerite; vanità e illusione, il suono che fanno quando si frantumano.) Una notte buia: lo stato di prigionia autoimposta. Un esercizio che commercia in loop di ansia. Fassbinder farcito Mondo su un filo (1973) con gli specchi: una distopia in cui individui generati dal computer vivono inconsapevolmente in una realtà contraffatta, dalla quale il protagonista riesce a fuggire con l’aiuto della sua amata in un finale inaspettatamente ottimista per gli standard del regista. All’inizio del film, un ingegnere sovraeccitato tiene in mano uno specchio portatile e esorta un burocrate: “Cosa vedi? Non sei altro che l’immagine che gli altri hanno fatto di te. È tutto.” Ehi tu, sì, tu dietro quello schermo, o io se è per questo, suona un campanello?
Delia Gonzalez, o la sua idea di fare arte, nasce sempre dal desiderio di progettare trasformazioni e di plasmare, per quanto obliquamente, le sue idiosincrasie. Questa mostra non fa eccezione. L’obiettivo minimo è un tentativo di mostrare che Alice può attraversare lo specchio in entrambe le direzioni, se lo desidera; ipotizzare la fine di questo continuo chiacchiericcio; sostenere che questo ego – sempre coccolato da infinite sollecitazioni, sempre chiamato a schierarsi, a presentarsi in un abito da festa sempre indossato – è una condanna sisifona. Entra già! I sigilli aspettano sulle pareti, il luogo risuona. Le cose che incontrerete nelle stanze sono sia effigi della notte oscura che stiamo arrancando insieme, sia passaggi per entrare in un sogno che tutti abbiamo avuto. Non un sogno grandioso, solo condiviso.
Francesco Tenaglia
a Hot Wheels Atene
fino al 13 agosto 2022