Il potere diplomatico dell’arte e della cultura


Arte e cultura, incluse tutte le produzioni artistiche, dalla musica, al cinema, alla letteratura rappresentano un potente “soft power” che contribuiscono a migliorare l’immagine di un Paese. La storia del coinvolgimento degli artisti negli Affari Esteri vanno dall’antica pratica del dono all’istituzione del programma Arts in Embassies (AIE) durante la Guerra Fredda istituito dal Dipartimento di Stato americano per creare un dialogo interculturale vitale e promuovere la comprensione reciproca attraverso le arti visive e gli scambi dinamici di artisti. Molte nazioni sostengono le istituzioni museali, favoriscono la nascita di musei per promuovere idee e valori culturali, ma anche per ottenere un’immagine più tollerante e globale o per perseguire interessi geopolitici strategici: un esempio eccellente è il Louvre di Abu Dhabi.
Il potere diplomatico dell’arte è poi insito nelle grandi manifestazioni internazionali, come le Biennali, in primis a Venezia con i diversi padiglioni degli stati esteri, mentre più recentemente l’istituzione nelle aree periferiche dell’arte, spesso precedentemente colonizzate.
E a proposito del ruolo delle Biennali e del soft power dell’arte il Museo delle Civiltà di Roma , sotto la direzione di Andrea Viliani, ha recentemente riproposto il progetto «Villa Lituania» degli artisti Nomeda & Gediminas Urbonas, a cura di Matteo Lucchetti. Tornato in Italia 16 anni dopo aver rappresentato la Lituania alla 52ª Biennale di Venezia nel 2007, vincendo la Menzione d’Onore della Giuria, «Villa Lituania» viene presentato in occasione dei quarant’anni dalla morte di Stasys Lozoraitis Sr., diplomatico residente presso la Villa dal 1939 al 1940.

Nomeda & Gediminas Urbonas al Museo delle Civiltà

Il progetto Villa Lituania

Il duo Nomeda & Gediminas Urbonas, artisti ricercatori con mostre in importanti istituzioni di base negli Stati Uniti, hanno narrato una complessa storia diplomatica da una prospettiva artistica, procedendo alla ricerca della verità storica attraverso il recupero di filmati di archivio inediti e intervistando alcuni testimoni, ma anche immaginando azioni che cerchino forme di riparazione dei rapporti tra i due Paesi. Tra queste l’azione portante di tutto il progetto attinge alla tradizione dei piccioni viaggiatori, utilizzati già 3000 anni fa da Egizi e Persiani ma impiegati anche durante i due conflitti mondiali del XX secolo per eludere i sabotaggi delle telecomunicazioni. Nel 2007 gli artisti propongono che il giardino del Consolato russo ospiti una colombaia che riceva i volatili portatori di un segno di pace provenienti dal Padiglione lituano a Venezia. Il progetto non è mai stato realizzato e i due artisti sceglieranno, d’accordo con i molti addestratori con cui sono entrati in contatto in Italia, Lituania e Polonia, di liberare simbolicamente circa mille colombi il giorno dell’apertura del Padiglione lituano a Venezia, che faranno poi ritorno ai loro luoghi d’origine nel mese successivo.

Il significato curatoriale

<Gli artisti Gediminas Urbonas – spiega Matteo Lucchetti – hanno trasformato una storia molto dolorosa per molti lituani, ovvero l’occupazione dell’ambasciata e contestualmente vedere calpestati i propri diritti. È un progetto che permette di tornare a raccontare tantissime storie che ci siamo dimenticati, non solo da un punto di vista politico, legate anche all’arte e alla cultura come alternativa diplomatica. È il senso con il quale stiamo reinterpretando il Museo delle Civiltà di Roma sotto la direzione di Andrea Villani da ormai quasi due anni. Stiamo immaginando – prosegue il curatore – il riallestimento delle collezioni nazionali che riguardano l’etnografia, la preistoria, il colonialismo: materiali di tutti quei diversi musei che sono confluiti nel tempo in un maxi contenitore all’Eur, parte della storia che abbiamo deciso di non mettere più in primo piano>. <Se però vogliamo capire il presente e interpretarlo in maniera più plurale – sottolinea Lucchetti – dobbiamo assolutamente riprendere e ispirarci a quei fantasmi finora dimenticati o nascosti. Dobbiamo immaginare un dialogo tra le culture contemporanee e il patrimonio, talvolta difficile perché frutto di colonizzazione, di queste collezioni museali al fine di raggiungere nuove sintesi e nuove forme di riparazione. Questa è un’attività diplomatica: riparare i rapporti tra Paesi, la rilettura delle tensioni passate e della loro difficile eredità può essere un gesto di diplomazia: così il museo diventa una sorta di istituto per la diplomazia culturale>.

«Il ritorno della stele di Axum» di Teho Eshetu

Arte e diplomazia: la restituzione

Di recente nelle collezioni del Museo delle Civiltà sono entrate opere acquistate con fondi Pac della Direzione Generale Creatività Contemporanea, di cui sono già state vinte due edizioni: Pac 2022-23 con risorse per 146mila euro e Pac 2021 per altri 199mila euro. Con il progetto «Metodologia contemporanea: cambiare linguaggio e riscrivere storie» è entrata l’opera del video artista italo-etiope Theo Eshetu «Il ritorno della stele di Axum» che narra tutta la storia della restituzione dell’Italia della stele di Axum all’Etiopia. «Una storia che in un’epoca di grande dibattito sulle restituzioni non viene ricordata spesso, eppure rappresenta un gesto molto importante, letteralmente monumentale, dell’Italia nei confronti dell’Etiopia» afferma Lucchetti. Nel video l’artista ha ripreso tutte le operazioni, dal disallestimento della stele, al trasporto, all’installazione ad Axum, fino alla celebrazione dell’evento. <L’arte così racconta un’operazione positiva accaduta in tempi recenti che scrive un processo di riparazione culturale portato avanti dall’Italia, nonostante tutte le peripezie e le polemiche scaturite dall’operazione. Una storia che deve essere di ispirazione, ma anche un modo per ricordare le orribili vicende coloniali italiane di cui si ha ancora troppa poca coscienza collettiva> conclude Matteo Lucchetti.



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La magia del silenzio. Antonio Donghi incanta Roma – Roma



Antonio Donghi, Gita in barca, 1934, Olio su tela, Fondazione Elena e Claudio Cerasi

Roma – Muto e impenetrabile come i personaggi dei suoi quadri, Antonio Donghi è stato ed è un enigma anche per i critici più esperti. Il suo irresistibile mistero va ora in scena a Palazzo Merulana, in una mostra che promette di offrire nuove idee e suggestioni attorno a 34 capolavori. Ritratti, paesaggi, nature morte, figure in interni ed esterni, personaggi del circo e dell’avanspettacolo daranno conto dell’intera produzione del pittore novecentesco, tra i principali protagonisti del Realismo Magico in Italia.  I dipinti in mostra arrivano da importanti collezioni come quelle di Banca d’Italia e UniCredit, oltre che dalla Galleria Nazionale e dalla Comunale d’Arte Moderna di Roma, più un significativo nucleo proveniente dalla Fondazione Elena e Claudio Cerasi. 


Antonio Donghi. La magia del silenzio. Palazzo Merulana, Roma, 9 febbraio – 26 maggio 2024

Classe 1897, romano, Donghi fu un artista schivo e introverso, che tuttavia divenne presto noto a livello internazionale, stimolando tra gli studiosi un vivace dibattito intorno alla sua appartenenza culturale e al suo stile. Immagini chiare e delicate caratterizzano una pittura semplice solo in apparenza, che avvolge lo spettatore in un magnetico senso di attesa, sospeso tra il presentimento di una rivelazione improvvisa e nuovi, inquietanti interrogativi. 

Altrettanto ambiguo e misterioso è il percorso artistico di Donghi, che inizialmente si esprime in un linguaggio pittorico di matrice ottocentesca, per cambiare radicalmente stile in pochi mesi, tra la fine del 1922 e l’inizio del 1923. La scelta del Magischer Realismus (Realismo magico), lanciato in Germania da Franz Roh, sarà la sua fortuna, proiettandolo sulle scene espositive e sul mercato estero, dall’Europa agli Stati Uniti. 


Antonio Donghi. La magia del silenzio. Palazzo Merulana, Roma, 9 febbraio – 26 maggio 2024

Fabio Benzi, curatore della mostra a Palazzo Merulana, si è fatto un’idea ben precisa sull’improvvisa trasformazione di Donghi. A suo parere, galeotta fu una mostra, e precisamente quella del collega Umberto Oppi presso la Galleria Bragaglia a Roma. “Le opere di Oppi – racconta lo storico dell’arte – con i personaggi immobilizzati in un’atmosfera senz’aria, i paesaggi costruiti da edifici geometrici sovrapposti nella loro volumetria come negli affreschi giotteschi, il disegno nitido e affilato, le espressioni interrogative e penetranti, l’aria di Realismo Magico al limite della Nuova Oggettività tedesca devono essere state il vero precedente saliente e l’ispirazione scatenante per Donghi” che, tuttavia, in questa metamorfosi mise molto di suo: “Al glamour rarefatto di Oppi, egli preferì una popolarità nostrana, quasi romanesca, che spogliava la figurazione dai preziosismi e la adattava a pollarole, lavandaie, donne del popolo, cacciatori e teatranti dell’avanspettacolo”. 

Antonio Donghi. La magia del silenzio
 sarà visitabile a Palazzo Merulana dal 9 febbraio al 26 maggio 2024. 


Antonio Donghi. La magia del silenzio. Palazzo Merulana, Roma, 9 febbraio – 26 maggio 2024



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Una geniale ossessione: Giacometti conquista Copenaghen – Mondo



Anonymous, Alberto Giacometti in his studio with The Forest in plaster, around 1950, Fondation Giacometti, © Succession Alberto Giacometti / Adagp, Paris, 2024

Mondo – “È come se la realtà fosse sempre dietro una tenda che scosti… Ce n’è sempre un’altra… e un’altra ancora. Ma ho l’impressione, o forse è un’illusione, di fare ogni giorno qualche progresso. Questo è ciò che mi spinge ad agire, come se dovessi riuscire davvero a comprendere il nocciolo della vita”. Così Alberto Giacometti ha descritto la tensione tra immagine e realtà che percorre tutta la sua opera, al centro di una grande mostra che aprirà i battenti a Copenaghen sabato 10 febbraio. A raccontarla nelle sale dell’SMK, la Galleria Nazionale di Danimarca, saranno 90 capolavori del celebre maestro svizzero, in un progetto creato in collaborazione con la Fondation Giacometti di Parigi: un viaggio lungo l’intera carriera dell’artista, tra disegni, dipinti e, naturalmente, iconiche sculture, dove le opere più note dialogheranno con lavori raramente esposti al pubblico. 


Alberto Giacometti. The Nose. 1947. Plaster, painted metal and corde de coton, 82.5 x 37 x 71 cm. Fondation Giacometti © Succession Alberto Giacometti / Adagp, Paris, 2024

A sentir lui, Giacometti non era capace nemmeno di “copiare una testa”. Eppure, già negli anni Cinquanta era tra gli artisti più famosi al mondo. Le sue figure alte e allampanate, dalle superfici grezze, quasi organiche, hanno conquistato spettatori, critici e collezionisti disposti a spendere fortune. Fino al 2015, quando l’Homme au Doigt fu battuto all’asta per 141 milioni di dollari, diventando la scultura più costosa di sempre. 


Alberto Giacometti. Black Annette. 1962. Oil on canvas, 55 x 45.8 cm. Fondation Giacometti © Succession Alberto Giacometti / Adagp, Paris, 2024

Incurante del successo, il maestro continuò per tutta la vita a lottare per catturare il mondo così come lo vedeva, senza mai trovare pace: perennemente insoddisfatto, faceva e disfaceva, creando per ogni opera innumerevoli bozze e versioni. Fino al 27 maggio Alberto Giacometti. What Meets the Eye esplorerà a fondo la sua spasmodica ricerca, mostrando come questa ossessione per la percezione visiva abbia portato alla nascita di un linguaggio unico e straordinariamente riconoscibile. 


Alberto Giacometti. The Forest. 1950. Bronze, 57 x 61 x 49.5 cm. Fondation Giacometti © Succession Alberto Giacometti / Adagp, Paris, 2024

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Castello di Rivoli: si apre una nuova stagione non solo espositiva


Il Castello di Rivoli Museo d’arte Contemporanea il prossimo autunno festeggerà i primi 40 anni di attività e lo farà sotto la guida di Francesco Manacorda, che da gennaio ha preso il testimone di Carolyn Christov-Barkagiev, direttrice ad interim nel 2009 e in seguito dal 2016 al 2023.
Si apre una nuova stagione, non solo espositiva, per il Museo che farà leva sul passato, ovvero sul legame con l’Arte Povera, e sul presente con i linguaggi dell’arte contemporanea ma soprattutto, come ha voluto precisare il neo direttore, “sarà un’attività di diplomazia culturale e tessitura sociale”.
Sono cinque i principi che il nuovo direttore seguirà nel corso del suo mandato: valore all’arte; vocazione sociale; compito internazionale; impegno educativo; centralità del patrimonio pubblico. Questa modalità operativa esprime il significato del ruolo del museo: non solo quello “contenere le opere degli artisti ma fare in modo che l’arte diventi significativa e rilevante per il maggior numero di persone, comunicare quanto l’arte può regalare a tutti noi e portare per mano i visitatori e per offrir loro la capacità di guardare il mondo in maniera diversa”.
Valore dell’arte ma anche vocazione sociale e per far sì che l’arte più contemporanea sia accessibile al grande pubblico, il direttore metterà in primo piano “temi di interesse generale che sconfinano il territorio dell’arte quali l’ecologia e il non-umano, la portata della spiritualità o gli impatti delle tecnologie digitali”.

Castello di Rivoli. Photo Andrea Guermani

Francesco Manacorda, Direttore del Castello di Rivoli_Foto Andrea Guermani

Il programma espositivo

La prima parte della stagione espositiva del Castello di Rivoli avrà ancora l’impronta della passata direzione e il primo grande progetto espositivo curato da Francesco Manacorda debutterà a fine ottobre, in concomitanza con l’inaugurazione di Artissima. «Mutual Aid – Arte» in collaborazione con la natura sarà una mostra che coinvolgerà artisti che sin dagli anni 60 hanno lavorato sulla questione ecologica e sul nostro rapporto con l’ambiente, per giungere alla crisi climatica attuale e agli sviluppi teorici intorno all’antropocene. L’elemento centrale del progetto metterà in luce il rapporto di vera e propria collaborazione creativa con il non-umano da parte di artisti, a cominciare da Giuseppe Penone, di generazioni e culture diverse, una ricerca che coinvolgerà anche scienziati, biologi, designer e architetti. Nei prossimi mesi, a partire dal 20 aprile, le sale del Museo ospiteranno la prima retrospettiva di un’istituzione museale italiana dedicata a Rossella Biscotti (Molfetta, 1978), le cui opere investigano le nozioni oggi sempre più cruciali di memoria, identità e il ruolo del documento e del gesto performato nella definizione di cultura, storia e società. Curata da Marianna Vecellio il progetto culminerà con una nuova produzione che prenderà vita nel corso della mostra.

Giuseppe Pennone, dalla serie «Alpi Marittime / From the series Maritime Alps», 1968. © Archivio Penone e / and Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea

Seguirà, la mostra su Paolo Pellion di Persano. “La semplice storia di un fotografo”, a cura di Marcella Beccaria e Andrea Viliani. Organizzata dal Centro di Ricerca Castello di Rivoli, l’esposizione valorizza la donazione avvenuta nel 2023 al CRRI da parte degli eredi dell’Archivio del fotografo, che comprende oltre 44.000 fotogrammi. Il progetto è uno dei vincitori del Bando Strategia Fotografia 2023, della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, bando giunto alla terza edizione e volto a promuovere e sostenere la ricerca, i talenti e le eccellenze italiane nel campo della fotografia. La mostra dedicata a Paolo Pellion di Persano avviene in concomitanza con il nuovo Festival della fotografia EXPOSED dal 2 maggio al 2 giugno 2024 a Torino.

Gabriel Orozco, «Shade Between Rings of Air (Ombra tra anelli d’aria)», 2003, legno e metallo / wood and metal

Per i 40 anni del Museo, oltre al nuovo allestimento della collezione, sarà presentata nella Sala 18 del Castello, a cura di Marcella Beccaria, la monumentale installazione «Shade Between Rings of Air (Ombra tra anelli d’aria)», 2003, di Gabriel Orozco (Xalapa, Messico, 1962). Inizialmente realizzata in occasione della Biennale di Venezia del 2003 e ispirata al lavoro del noto architetto Carlo Scarpa, l’opera entra a far parte delle Collezioni del Castello di Rivoli grazie a una generosa donazione dell’artista.

I numeri del museo

Il neo direttore per la sua missione potrà contare sul supporto dei contributi istituzionali dei soci, la Regione Piemonte che nel previsionale 2023 ha elargito la parte più consistente delle fonti, pari a 2,489 milioni, e a seguire la Fondazione CRT e la Compagnia San Paolo. Sempre secondo i dati del bilancio previsionale, a fine 2023 i proventi ammontano complessivamente a 4,771 milioni di euro e il museo ha generato risorse proprie per 1,257 milioni, pari al 26,4% del totale, evidenziando l’importanza del contributo pubblico per la gestione operativa e museale. Sempre più opere ogni anno entrano in comodato uso gratuito dalla Fondazione CRT e a fine 2022 avevano un valore pari a 51,9 milioni di euro (40,7 milioni di euro nel 2021).



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Il Ministero della Cultura incontra le imprese culturali e creative


Nella Sala Spadolini del Ministero della Cultura, martedì 6 febbraio, è iniziato il percorso partecipato di scrittura dei decreti attuativi riguardanti le Imprese Culturali e Creative previsti negli articoli 25, 26, 27, 29 e 30 della legge 27 dicembre 2023, n. 2006 meglio conosciuta come legge per il Made in Italy. La riunione di coordinamento tra partner istituzionali e operatori dell’industria culturale e creativa è stata presenziata dal Sottosegretario alla cultura Lucia Borgonzoni che ha sottolineato come: “Le prossime settimane saranno cruciali per l’applicazione del provvedimento, in quanto con la scrittura dei decreti, si entrerà nel dettaglio dell’articolazione dei nuovi strumenti introdotti dalla normativa, al fine di renderli quanto più efficaci possibile”.
Dopo gli interventi introduttivi dei rappresentanti istituzionali del Ministero della Cultura, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, la parola è passata ai rappresentanti di categoria delle Imprese Culturali e Creative che per più di due ore hanno fatto le loro proposte utili alla stesura dei decreti.

Foto Emanuele Antonio Minerva – Ministero della Cultura

Le proposte

Tutti gli operatori sono stati d’accordo nel ribadire che il fondo di 3 milioni di euro annui e per dieci anni messo a disposizione dalla legge sia insufficiente e che il comparto delle imprese culturali e creative necessiti di maggiori risorse. Difatti, se si dividesse il fondo annuo tra Regione e province autonome l’ammontare sarebbe poco più di 140mila euro per ente. Una goccia nel mare. Numerose le proposte fatte e tra queste alcune già note, ad esempio è stato richiesto l’estensione dell’Art Bonus alle imprese culturali e creative e la riduzione del periodo di riparto del credito di imposta da tre quote annuali a due annualità. Oltre a sostegni fiscali si vorrebbero incentivi per l’accesso al credito bancario. È stata richiesta anche la differenziazione della qualifica di imprese culturali da quelle creative, in quanto spesso le seconde sono clienti delle prime e se ne servono per realizzare prodotti e servizi. La differenziazione di qualifica sarebbe funzionale a una diversa ripartizione delle risorse. È stata richiesta anche una diversa specificazione tra imprese, enti del terzo settore e liberi professionisti e di inserire nell’albo delle imprese culturali e creative anche le botteghe storiche, gli archivi storici e le fiere di settore come, ad esempio, le manifestazioni dedicate alla moda. Si richiede anche di incentivare le filiere trasversali comprendenti il libro e il teatro o il cinema, di favorire la contaminazione tra settori e di incentivare le filiere verticali per le attività di formazione delle competenze, di produzione creativa e di commercializzazione dei prodotti e servizi.

Interessante è stata la proposta di utilizzo degli immobili pubblici dismessi in favore del Terzo settore, nell’ottica di rigenerazione urbana degli spazi abbandonati. È stata sollevata la problematica di coordinamento tra diversi albi, l’albo delle imprese culturali e creative del MiC, delle Camere di Commercio e gli albi delle imprese artigiane. Il settore della moda necessita di rafforzare la formazione al fine di favorire il ricambio generazionale, mentre il settore dei videogiochi invoca una maggiore tutela della proprietà intellettuale, le sale cinematografiche chiedono incentivi per un uso diverso degli spazi; non solo cinema, ma anche per eventi enogastronomici o editoriali.

In molti hanno chiesto azioni di capacity building, un maggiore rafforzamento dell’immagine delle imprese italiane all’estero e attività sinergiche per creare un ecosistema più strutturato. Si vorrebbero potenziare le aziende con marchi storici con più 50 anni di attività e supportare le produzioni musicali e audiovisive indipendenti, sempre più alla mercè delle piattaforme multinazionali che creano un imbuto alla distribuzione dei contenuti.

Il settore musicale ha chiesto di essere equiparato al cinema e di avere un’estensione del tax credit. Per quanto riguarda le gallerie d’arte, gli artisti e le fondazioni artistiche si richiede l’abbassamento dell’Iva al 5,5% nelle transazioni di acquisto di opere d’arte per le gallerie, gli artisti e i musei e maggiori incentivi per potenziare le competenze di settore. Inoltre, si vorrebbe intervenire sugli statuti dei musei italiani per incentivare le mostre di artisti italiani e l’acquisizione di opere, sempre con Iva agevolata.



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Il 2024 di Pistoia è Pop – Pistoia



Enrico Baj, La mondana con gli ultracorpi, 1959, Olio, collage, ovatta, vetri, passamaneria su tela ready-made, 73 x 92 cm, Collezione privata | Courtesy Gió Marconi, Milano

Pistoia – L’onda pop si accinge a travolgere Pistoia al soffio dei più autorevoli pennelli con un appuntamento in programma a Palazzo Buontalenti.
Dal 16 marzo al 14 luglio toccherà a 60 opere ricostruire le vicende del movimento artistico in Italia attraverso i suoi maggiori esponenti, da Mario Schifano a Tano Festa, da Franco Angeli a Mimmo Rotella, da Pino Pascali a Jannis Kounellis.
Walter Guadaglini, curatore della rassegna, per la grande esposizione dal titolo ’60 Pop Art Italia metterà insieme prestiti che giungeranno a Pistoia da  importanti collezioni private e da istituzioni museali come il MaCro di Roma, la Galleria d’Arte Moderna di Torino, il MART di Trento e Rovereto, la Collezioni Maramotti di Reggio Emilia, le Collezioni di Intesa Sanpaolo.


Antonio Fomez, Viva il consumo, 1964, Olio su tela, Collezione privata

Fondazione Pistoia Musei, la nuova realtà culturale della città toscana, rafforza così il progetto del sistema museale promosso da Fondazione Caript. L’itinerario sarà un viaggio nei principali centri d’irradiazione italiani di questo fenomeno prettamente metropolitano, nato a Londra nel 1956 e sviluppatosi in parallelo a New York, Los Angeles, quindi in Europa, diventando la principale espressione artistica degli anni Sessanta del secolo scorso.

Roma, Milano, Torino, Venezia, Palermo e Pistoia saranno le tappe che hanno consentito, per una fortunata serie di connessioni, di creare un terreno fertile dove i semi della cultura Pop potessero attecchire e maturare grazie all’attività delle gallerie private, dei collezionisti, dei critici d’arte che hanno intessuto i rapporti tra l’Italia e il resto del mondo, delle riviste e delle istituzioni pubbliche che hanno saputo cogliere le novità e dare loro il giusto rilievo.


Marisa Busanel, Piccola Betty, 1965, tecnica mista e stoffa su tavole montate, 74 x 104 cm, Collezione Dello Schiavo, Roma

Da Roma, il principale centro artistico nazionale di quegli anni, dove la “Scuola di Piazza del Popolo” riunì Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Mimmo Rotella, Mario Ceroli, solo per citare alcuni protagonisti sostenuti da galleristi quali Plinio de Martiis e Giuseppe Liverani, o da intellettuali quali Alberto Moravia e Goffredo Parise, il viaggio punterà verso nord. A Pistoia s’incontrano Roberto Barni, Umberto Buscioni, Adolfo Natalini e Gianni Ruffi, gli alfieri della “Scuola di Pistoia”. Altra tappa sarà Milano dove, grazie a Enrico Baj, prenderà piede una versione della Pop Art più vicina al Nouveau Réalisme francese, e poi a un’altra d’ispirazione londinese, con autori quali Valerio Adami, Lucio Del Pezzo, Emilio Tadini.

Nella Torino che vede attivi artisti quali Michelangelo Pistoletto, Piero Gilardi, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Anna Comba, Beppe Devalle, Piero Gallina, nella città delle gallerie Il Punto e Sperone, approdano i lavori di Andy Warhol e Roy Lichtenstein, Due sale specifiche accenderanno un focus su Venezia e Palermo, incentrate sull’esperienza della Biennale d’Arte del 1964. A concludere il percorso saranno le opere del 1968, anno che segna la chiusura della stagione d’oro della Pop Art.



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Il Colosso di Costantino (ricostruito) veglia su Roma – Roma



La ricostruzione della statua colossale di Costantino nei giardini di Villa Caffarelli | Courtesy Zetema

Roma – Appena entrati nel giardino di Villa Caffarelli l’impressione, incrociando la fissità ieratica del suo sguardo, nella differenza di scala impressionante tra noi, visitatori piccolissimi, e la sorprendente stazza di tredici metri, è quella di essere sopraffatti da un gigante.
Tale doveva essere la sensazione che i sudditi di Roma avvertivano al cospetto della statua originale dell’imperatore Costantino, uno degli esempi più significativi della scultura romana tardo-antica, risalente al IV secolo d.C.
Quella che a partire dal 7 febbraio romani e non potranno ammirare gratuitamente nel giardino di Villa Caffarelli, adiacente ai Musei capitolini, è la straordinaria ricostruzione in scala 1:1 di questo Colosso riscoperto nel XV secolo presso la Basilica di Massenzio e del quale rimangono oggi la testa, il braccio destro, il polso, la mano destra, il ginocchio, lo stinco, il piede destro e quello sinistro, frammenti in marmo conservati nel cortile di Palazzo dei Conservatori.

Questa straordinaria ricostruzione rimarrà nel giardino di Villa Caffarelli almeno fino a tutto il 2025 per poi essere trasferita, con tutta probabilità, al Museo della civiltà romana che verrà riaperto.
Risultato della collaborazione tra la Sovrintendenza Capitolina, Fondazione Prada e Factum Foundation for Digital Technology in Preservation, con la supervisione scientifica di Claudio Parisi Presicce, sovrintendente capitolino ai Beni Culturali, la replica del monumento era già stata presentata per la prima volta a Milano dal 17 novembre 2022 al 27 febbraio 2023, in occasione della mostra Recycling Beauty a cura di Salvatore Settis e Anna Anguissola con Denise La Monica.


Factum Foundation all’opera nella ricostruzione del Colosso di Costantino, 2022 | Foto: © Oak Taylor-Smith Factum Foundation

“Il Colosso può essere in effetti visto come un esempio di riuso, potremmo dire di Recycling Beauty” ha spiegato Settis. E infatti è il risultato del riadattamento di una statua più antica. Secondo una recente ipotesi sarebbe stata la statua di culto di Giove Ottimo Massimo, collocata all’interno del tempio a lui dedicato sul Campidoglio, il più importante della romanità, a fungere da modello per la realizzazione del Colosso. La scultura è un acrolito, con le parti nude realizzate in marmo, montate su una struttura portante rivestita da panneggi in bronzo dorato o in preziosi marmi colorati. Il dio, seduto in trono, è avvolto in un mantello che lascia scoperti il torso, le braccia e il ginocchio.
Motivo iconografico di tradizione omerica associato quasi esclusivamente all’immagine di Giove, e successivamente degli imperatori, il ginocchio nudo scoperto richiama la massima devozione rivolta a un essere divino, invocando la richiesta di supplica.

Dopo la vittoria su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio del 312 d.C., Costantino diventa il padrone assoluto della parte occidentale dell’impero e di Roma. E la realizzazione del Colosso, una delle manifestazioni più impressionanti dell’arte costantiniana, risalirebbe proprio a questi anni iniziali del suo regno. La celebrazione dell’imperatore avviene dunque attraverso il reimpiego di una statua colossale già esistente attraverso la quale l’imperatore stesso si mostra come comes (compagno) degli dèi, identificando come divina la natura stessa del suo potere.


La ricostruzione della statua colossale di Costantino nei giardini di Villa Caffarelli | Courtesy Zetema

“La ricostruzione del Colosso che oggi presentiamo – ha commentato Claudio Parisi Presicce – è un risultato che parte da lontano, frutto di un lungo studio dei frammenti appartenenti alla scultura. Questa statua aiuta adesso a leggere i frammenti singoli”.

I nove frammenti in marmo pario, attualmente conservati presso i Musei capitolini, sono stati rinvenuti nel 1486 all’interno dell’abside di un edificio che solo agli inizi dell’Ottocento sarà correttamente identificato con la Basilica di Massenzio lungo la Via Sacra. Si pensava che appartenessero a una statua dell’imperatore Commodo e, data la loro eccezionale importanza, furono allestiti nel Palazzo dei Conservatori durante i lavori di ristrutturazione. Solo alla fine dell’Ottocento i frammenti sono stati identificati come ritratto colossale dell’imperatore. Un decimo frammento, parte del torace, rinvenuto nel 1951, giunge dai magazzini del Parco Archeologico del Colosseo nel cortile del Palazzo dei Conservatori.


Le prove per la resa del marmo pario sui facsimili dei frammenti | Foto: © Oak Taylor-Smith Factum Foundation

Veniamo ora al perché della collocazione della gigantesca ricostruzione del Colosso di Costantino all’interno del Giardino di Villa Caffarelli. I giardini insistono in parte sull’area occupata dal Tempio di Giove Ottimo Massimo, che un tempo ospitava la statua di Giove, la stessa probabilmente dalla quale il Colosso fu ricavato.

A fine marzo 2022 un team della Factum Foundation trascorse tre giorni nel cortile dei Capitolini per scansionare i frammenti presenti con la tecnica della fotogrammetria. Ciascuno di questo è stato modellato in 3D e posizionato sul corpo digitale della statua creata utilizzando come esempio iconografico altre sculture di culto di età imperiale in pose simili. L’operazione di ricostruzione realizzata da Factum ha tenuto conto del tipo di marmo delle parti originali, dei restauri e delle aggiunte, dei dettagli del panneggio mancante e dell’aspetto del bronzo dorato di cui era composto. Solo dopo aver ultimato il modello 3D ad altissima risoluzione si è proceduto con la ricostruzione materiale del Colosso.


La ricostruzione della statua colossale di Costantino nei giardini di Villa Caffarelli | Courtesy Zetema

Per restituire l’effetto del marmo e del bronzo sono stati scelti resina e poliuretano, insieme a polvere di marmo, foglia d’oro e gesso, mentre per la struttura interna (originariamente forse composta di mattoni, legno e barre di metallo) è stato adoperato un supporto in alluminio. Osservando il Colosso nel suo complesso ci si accorge delle “ricuciture” tra le parti rimaterializzate e le copie dei frammenti originali presenti nel cortile di Palazzo dei Conservatori.

“La seconda versione del Colosso – anticipa Adam Lowe, della Factum Foundation for Digital Technology in Preservation – sarà mostrata in Inghilterra, proprio dove Costantino faceva la guardia lungo il Vallo di Adriano prima di diventare imperatore”.
Intanto la prima è tornata a casa e veglierà a lungo su Roma.



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Ad Arte Fiera l’arte italiana sugli scudi


Cinquantamila visitatori, una marcata identità italiana ed espositori in aumento (196), così Arte Fiera di Bologna ha doppiato il suo 50° anniversario. Nata in anni di fibrillazione (1974) in cui arrivarono galleristi Usa come Leo Castelli e Ileana Sonnabend, offre l’opportunità di fare il punto sul mercato nazionale dell’arte: postpandemico, intra-bellico, a cavallo di crisi continue. I collezionisti c’erano tutti, anche Patrizia Sandretto Rebaudengo. Perfetto “portare a Bologna chi non sta ad aspettare che siano le aste a consacrare con top-prices i talenti storicizzati od emergenti della penisola. Con qualità spesso molto superiore ai contemporanei esteri e al riconoscimento di mercato” dice Simone Menegoi, direttore artistico. Ma bastano gli invocati Vip manager per riuscire nell’impresa? “Non è deluso chi ha attese proporzionate. È un appuntamento collegato ai collezionismi delle tante città e culture della penisola” sintetizza Michele Casamonti di Tornabuoni Arte. Gli fa eco Glauco Cavaciuti: “ È piaciuta la qualità e stabilità di Arte Fiera in un contesto volubile in cui se chiude il Mar Rosso saltano gli equilibri delle aziende” e l’economia di pace arretra sotto i colpi di quella bellica. “Grande energia dai collezionisti, nessuno intende mollare” racconta Massimo Minini, decano gallerista-scrittore che ha venduto da Jacopo Benassi (4 foto) a Peter Halley (100mila €) e a cui il Mambo ha comprato Sabrina Mezzaqui (premio Righi).

Molta qualità e offerta diversificata

Fino al primo semestre 2023, l’uscita dalla pandemia e lo scongelamento delle risorse del collezionismo diffuso alimentava le compravendite. Arte Fiera ha retto tante crisi con la creatività e flessibilità di imprese medio-piccole. Nel 2024 ha presentato un’alta qualità di proposte, nel contemporaneo (Pad.25) come nello storicizzato (Pad.26). Venduti all’apertura un Mario Radice del 1940-42 (da Bottega Antica) e un grande Mirco Marchelli (da Cardelli e Fontana, quotazioni tra 13-14mila €+Iva). Poi Piero Dorazio e Alighiero Boetti (da Tornabuoni Arte e Glauco Cavaciuti) con cifre a 4-5 zeri. L’offerta è stata molto diversificata. Non solo grazie a due sezioni dedicate a Multipli e Fotografia + immagini in movimento. Ma anche per l’ampio range di prezzi che cattura fasce d’età e pubblici con diversi orientamenti d’investimento, nella Main Section come per il XXI secolo.

Fotografia, performances e multipli

Tra le foto, ammirati Rebecca Norris Webb, Marco Maria Zanin e Giuseppe Lo Schiavo con un trittico mediterraneo comprato da un museo olandese (2,5-7,5mila € da Spazio Nuovo) o Silvia Camporesi (da Sara Zanin). Della Bologna di 50 anni fa ci sono le foto delle performances di Gina Pane ( 1973-4) e Marina Abramovich (1977), eventi con “nulla da vendere” da Richard Saltoun, londinese con staff romano alla riscoperta di artiste come Bice Lazzari o Greta Schödl, in pista per la Biennale di Venezia 2024 (3-25mila €, altre fino a 150mila). Per i Multipli studenti entusiasti alla Galleria Albicocco con Emilio Isgrò o Piero Pizzi Cannella, le cui poetiche sono perfette per le grafiche senza arrivare ai 120mila € dei grandi olî (da Muciaccia). Crescono i collezionisti di fotografia, giovani o più maturi, anche da Valeria Bella: “Sembrava la Bologna dei tempi migliori” con acquisti nella fascia 2-11mila €. Si registra un buon volume d’affari anche per le sempreverdi ed eccezionali incisioni di Giorgio Morandi nella fascia di partenza delle quotazioni (da Repetto 30/40-100mila €). E se volete sentire parole sincere sul rapporto giovani/maestri fate un passaggio a Palazzo Fava, per una testimonianza-video pop di Concetto Pozzati.

Le opere proposte ad Arte Fiera

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Maestri esteri ed italiani

Le vendite degli italiani storicizzati si sono concentrate nel range tra 40-100mila € con punte sino a 300mila, delineando un mercato interno preparato ma cauto. In cui aumentano i giovani collezionisti pur con limiti di manovra. In questa fiera che di necessità fa virtù esaltando la creatività italiana, non sono mancate nella Main Section eccellenti perle estere come Serge Poliakoff, venduto il primo giorno (da Gariboldi a 160mila €), Peter Halley volato via domenica (a 100mila € da Minini). Viste anche opere di Paul Delvaux e Sebastian Matta (da Galleria Maggiore, nell’ordine di 850mila e da 38mila €). E Heinz Mack ultima maniera che, 92enne, è fosforescente e più potente di molti iperrealisti (da Cortesi a 160mila €). Bello anche un Jason Martin (da Mimmo Scognamiglio).
Grande presenza per Carla Accardi e Giuseppe Capogrossi venduti da Cavaciuti, ma ambedue in altre 6-7 gallerie. Troneggia su tutti Piero Dorazio con monografica da Lorenzelli Arte e molte altre opere in altrettante gallerie nel range tra 50-160mila €. Si sale a 350-580mila per grandi tele anni ’60 (da Cortesi). Anche Tornabuoni ha venduto due Dorazio, oltre Valerio Adami, Emilio Isgrò e Ottone Rosai. Da Bottega Antica, tra 40-70mila €, un documentato Alberto Savinio anni ’30 e un disegno di Boccioni. Sottolinea Galleria Russo: “Il combinato di qualità, bibliografia e stato di conservazione” sfonda le resistenze. Arte Fiera è matura per un Vetting di garanzia”.
Per la scultura ha ceduto pezzi storici “che non si trovano facilmente”: da Medardo Rosso a Duilio Cambellotti, oltre a Fausto Pirandello e disegni di Marussig e Sironi (embargo sui prezzi). C’erano anche Leoncillo, Arnaldo e Giò Pomodoro e Pietro Consagra, con un raro bassorilievo celeste (70mila €) da Muciaccia. Spiccavano dosi massicce di Giuseppe Uncini (da Armanda Gori, arte contemporanea) e alcuni Nunzio (a 30mila € da Rosso Vermiglio).

Sui radar Salvo e Boetti

Impressionante sfilata di Boetti da Glauco Cavaciuti con vendite nel range tra 80-120mila € e trattative in corso per i pesi massimi. Ondate di Salvo, tra cui spiccano quelli di Mazzoleni e Simoens (quotazioni tra 65/75-150mila €). Mentre qualche Mario Schifano è apparso un po’ sottotono. Strano ma vero: fuori dei radar il Futurismo, in attesa della mostra d’autunno alla Galleria Nazionale di Roma, eccezion fatta per Bottega Antica, Campaiola e Galleria Russo con esempi del Secondo Futurismo, da Tullio Crali a Gerardo Dottori. Classe 1946 notato Nahum Tevet (da Galleria Maab nel range 15-35mila). Da Galleria Continua installazione di pagnotte di pietra dei Carpazi dell’ucraina Zhanna Kadyrova già a 1 € al grammo alla Biennale.



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Da Segantini all’omaggio ad Antonio Paolucci, la settimana in tv



Giovanni Segantini, L’amore alle fonti della vita, 1896, olio su tela, cm. 69 x 100. Milano, Galleria d’Arte Moderna

Rai 5 rende omaggio ad Antonio Paolucci
Nel giorno della scomparsa dello studioso che ha dedicato la sua vita alla tutela, alla promozione e alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano, Rai 5 ricorda Antonio Paolucci, tra i massimi storici dell’arte, ex ministro dei Beni culturali, ax sovrintendente del Polo museale fiorentino e già direttore dei Musei Vaticani.
Dal 5 al 9 febbraio alle 19.45 andrà in onda Museo Italia, un viaggio attraverso i luoghi più significativi del belpaese.
Il racconto, che vuole essere un invito, attraverso una selezione minima di capolavori, a cercare la bellezza nascosta talvolta a pochi metri dalle nostre case, inizia con i Capitolini di Roma, primo museo pubblico istituito per donazione sovrana quando papa Sisto IV della Rovere consegnò al popolo romano la “lupa”, “spinario”, ‘l “Ercole dorato”, emblemi della sua storia.
Il pubblico farà una sosta a Firenze, agli Uffizi, la galleria pubblica che ha dato il nome alle grandi collezioni statali del mondo, da Parigi a Washington, da Londra a San Pietroburgo. Il museo esce dai suoi confini istituzionali per guadagnare le piazze e le strade, i centri storici. Per rendere l’idea, tipicamente italiana, del “museo diffuso”, il viaggio farà tappa a Empoli, la cittadina toscana famosa per la sua cattedrale romanica, e nella Orvieto del celebre Duomo, degli affreschi di Luca Signorelli, delle collezioni etrusche.
Il percorso nell’Italia storica sulle tracce di Piero della Francesca proseguirà da Borgo San Sepolcro a Monterchi, quindi a Urbino, dentro la reggia di Federico da Montefeltro.

Su Sky Arte Segantini e i protagonisti dell’Arte povera


La settimana in tv dedicata alla bellezza comincia da Napoli. La stagione di Sette meraviglie, che accompagna il pubblico da casa, attraverso i secoli, nei luoghi più straordinari della città partenopea, invita alla scoperta di Castel Nuovo. Oggi, lunedì 5 febbraio alle 13, in compagnia di Mimmo Borrelli, entreremo all’interno dello storico castello medievale e rinascimentale, più comunemente noto come Maschio Angioino, uno dei simboli della città.
La Napoli medievale è un contesto in grande fermento. In questo periodo calcano il palcoscenico della città maestri come Giotto, Giovanni Boccaccio, Petrarca e Tommaso D’Aquino. Nella seconda metà del Duecento i francesi d’Angiò conquistano la città per farne una capitale del Mediterraneo. Castel Nuovo diventa così il simbolo del nuovo potere assieme ad altre chiese e opere d’arte legate agli influssi del gotico internazionale.
Il lunedì di Sky Arte prosegue attraverso un’indagine sull’eredità di un artista che, con il suo stile provocatorio, ha rivoluzionato per sempre il mondo della fotografia. A ripercorrerne le innovazioni sarà Helmut Newton – The Bad And The Beautiful, il documentario diretto nel 2020 dal regista Gero von Boehm, in onda su Sky Arte.

Dalla fotografia il viaggio attraverso il piccolo schermo prosegue sulla tela dell’eccentrico, solitario Giovanni Segantini, in perenne oscillazione tra divisionismo e simbolismo. A questa voce, tra le più autentiche nel panorama pittorico dell’Ottocento europeo, Sky Arte dedica il docu-film diretto da Francesco Fei, intitolato Segantini – Ritorno alla natura. La breve e intensa parabola artistica e umana del pittore, nato ad Arco di Trento nel 1858 e morto a soli 41 anni, si racconta grazie a Filippo Timi (voce e volto di Segantini in alcune ricostruzioni storiche realizzate ad hoc) e con i contributi di Gioconda Segantini, Annie-Paule Quinsac, Franco Marrocco e Romano Turrini.


Giovanni Segantini, Le due madri, 1889, Milano, GAM (Galleria d’Arte Moderna)

Nato poverissimo, orfano a cinque anni, analfabeta, rinchiuso in un riformatorio a dieci, apolide per tutta la vita, Segantini affidò alla natura un ruolo importante, come ricordano opere come La Ragazza che fa la calza, esposta alla Kunsthaus di Zurigo, e Le due madri, L’amore alla fonte della vita e L’Angelo della Vita custodite alla Galleria d’Arte Moderna di Milano. Dall’energia della natura, dal messaggio classico ed estremamente contemporaneo di Segantini, Sky Arte ci guida verso il palcoscenico dell’Arte povera. Sabato 10 febbraio alle 17 una produzione Sky Original, intitolata Arte Povera – Appunti per la storia, invita a compiere un viaggio alla scoperta dei protagonisti del movimento sovversivo che ha fortemente influenzato lo sviluppo dell’arte contemporanea.
È il 23 novembre 1967 quando un giovane Germano Celant pubblica sulla rivista Flash art il manifesto “Arte Povera, appunti per una guerriglia”, criticando il processo consumistico che ha reso l’artista un mero produttore di oggetti. Celant chiama così a raccolta gli artisti che prediligono il processo al prodotto, adoperando materiali prima esclusi dal processo artistico e puntando all’essenzialità. Il documentario ripercorre la nascita del movimento attraverso il racconto di artisti, galleristi e critici, da Giulio Paolini a Giuseppe Penone, da Michelangelo Pistoletto a Giorgio Colombo. Particolarmente significativa sarà la conversazione con Germano Celant realizzata durante l’allestimento della retrospettiva di Jannis Kounellis del 2019 presso la Fondazione Prada a Cà Corner a Venezia.


Edvard Munch, Stormy Landscape, 1902–03, Olio su tela, 95 x 74 cm, Collezione privata I Courtesy Museum Barberini Potsdam

Su Arte tv un viaggio tra musica e pittura
In una delle sale del Museo Barberini di Potsdam, la giovane cantante islandese Laufey si esibisce circondata da capolavori di Monet, Munch e Signac. La si potrà seguire in questo suo viaggio che unisce musica e pittura grazie a Laufey: Sounds like Art, in onda su Arte tv.



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Mercato selettivo per l’arte classica a New York


La settimana a cavallo fra gennaio e febbraio ha visito la ripresa del mercato dell’arte internazionale con una serie di aste a New York dedicate alle opere d’arte dall’antichità al primo ‘800. Oltre ai consueti cataloghi di dipinti classici e lavori su carta, sono passate sotto il martello alcune collezioni specializzate, fra cui spicca la Quentin composta da 15 bronzetti. I risultati hanno registrato un fatturato complessivo in deciso calo rispetto alle aste di 12 mesi fa, anche a causa di alcuni ritiri di lotti milionari.

Judith with the Head of Holofernes di GIULIO CESARE PROCACCINI battuto da Christie’s

I dipinti antichi vedono ampliarsi la forbice tra il successo di pochi lotti milionari o comunque di grande qualità e rarità, spesso difesi da garanzie o comunque aggiudicati da stime invero già elevate, e le opere di qualità media che rimangono spesso invendute, portando le percentuali di venduto a livelli bassi che non si vedevano da anni.

In questo ambito, il catalogo più selettivo di Sotheby’s ha dato maggiori soddisfazioni, nonostante il ritiro già annunciato qualche settimana fa dell’unico lotto con stima superiore ai 10 milioni di $, un maestoso ritratto regale dipinto da Diego Velazquez per onorare Isabella di Borbone, la cui stima indicativa nell’ordine di 35 milioni di $ avrebbe da sola superato la somma dei realizzi di dipinti delle due case d’asta combinate, pari a 13,8 milioni di dollari per la principale asta di Christie’s il 31 gennaio e 21 milioni di $ per Sotheby’s il 1 febbraio.

SLEEPING NYMPH GIAMBOLOGNA, PROBABLY CAST IN 1584 battuta da Christie’s

La scultura prevale da Christie’s

Il catalogo di Old Masters del 31 gennaio inizialmente prevedeva ben 78 lotti, scesi a 72 dopo il ritiro di sei lotti fra cui una coppia di vedute veneziane del Michele Marieschi stimate 2-3 milioni di $. Una serie di ben 30 invenduti, fra cui un fondo oro raffigurante Sant’Antonio Abate dipinto da Fra Giovanni da Fiesole stimato 1-1,5 milioni, e una bella natura morta su rame del fiammingo Ambrosius Bosschaeet I dalla stessa stima, ha ridotto il ricavo sotto la stima bassa pre-asta di 18 milioni a solo 13,8 milioni di $, con pochi realizzi sopra la soglia del milione di dollari fra i 42 lotti aggiudicati, in particolare una tavola di cassone decorata dallo Scheggia che si ferma a metà della stima a 1,6 milioni di $ con le commissioni. Il catalogo, molto diversificato per scuola, periodo e soggetto, mancava però di opere di valore elevato. Prosegue il trend positivo per Artemisia Gentileschi, il cui San Giovanni Battista per una volta raffigurato nella sua interezza e con la testa saldamente sul collo ha superato agilmente la stima di 400-600mila $, sfiorando il milione a 982.800 $ con le commissioni. Il ben più cruento ‘Giuditta con la testa di Oloferne’ del Procaccini è passato di mano alla stima bassa a 1,1 milioni di $ grazie all’aggiunta delle commissioni, uno dei soli cinque lotti a partire da stime milionarie, dopo il ritiro di due opere milionarie. Inusualmente il catalogo comprendeva un’opera religiosa di scuola romana non attribuita, che ha stabilito il prezzo più basso a 5mila $, la metà della stima bassa.

Il giorno prima 30 gennaio la casa d’asta ha proposto un piccolo catalogo di sole 15 opere provenienti dalla stessa collezione Quentin di scultura Rinascimentale e Barocca. Nonostante un terzo dei lotti sia rimasto invenduto, fra cui spicca un bronzetto del Giambologna raffigurante Marte di quasi 40 cm stimato 7-10 milioni di $, il ricavo totale ha sfiorato i 13 milioni di $, di cui 9,7 milioni concentrarti nei primi tre risultati. A guidarli un bronzo sempre del Giambologna ma di una sensuale Ninfa dormiente, che ha quasi raggiunto i 6 milioni di $, quintuplicando la stima alta di 1,2 milioni. Il dinamismo della lotta fra Ercole e Anteo del bronzetto attribuito a Maso Finiguerra, fiorentino della metà del ‘400, ha spinto i rilanci fino a sfiorare 2,5 milioni di $, ben oltre la stima alta di 1 milione, mentre una Venere e Cupido di Carlo di Cesare del Palagio di 76 cm ha raggiunto la stima bassa fermandosi a 1,2 milioni con le commissioni.
Quello dei bronzetti rimane un mercato specialistico di nicchia, pronto però a premiare qualità e provenienza come in questo caso: la collezione è stata ospite anche della Frick Collection di New York.



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