Tolia Astakhishvili, Mark Barker, Co Westerik “L’ingresso principale” a Shahin Zarinbal, Berlino


Forse tutte le strutture su cui facciamo affidamento si basano su una specie di menzogna. Forse mentire non è poi così male. Chi vuole veramente la verità? La menzogna è una misura protettiva, è una forma di privacy. È anche una forma di intrattenimento, un brivido. La menzogna è la finzione che costruiamo per sublimare le parti della realtà che non possono essere affrontate così come sono. E mentre scrivo questo, sto mentendo, spero.

Un personaggio del romanzo di Fanny Howe “Indivisible” diceva che lo Spirito Santo era ovunque se solo prestavi attenzione. “Non come una preghiera ricompensata, ma come un’atmosfera che spalanca il tuo corpo”. Howe scrive che questo personaggio “aveva sacrificato l’intimità e l’aveva sostituita con l’intuizione”. Ci vuole un minuto per capire cosa potrebbe significare. Essere consapevoli di un’atmosfera che spalanca il proprio corpo si traduce in un’esposizione così priva di pelle all’ambiente circostante che l’intuizione può sostituire l’intimità. Cioè che una sorta di puro impulso prediscorsivo (qualsiasi movimento) possa essere amorevole come una carezza o tenero come una ferita perché il mondo è proprio così vicino.

Forse Co Westerik era qualcuno che aveva sacrificato l’intimità e l’aveva sostituita con l’intuizione. Nella vena rigonfia, al tempo stesso blu pallido e blu scuro, che si biforca su una mano come un fiume, percepiamo un po’ di quella grande apertura, di quella sensibilità radicalizzata. Cos’è, alla fine, che separa il dentro dal fuori e ci impedisce di sanguinare dappertutto? Un sottile, infatti, traslucido materiale, più sottile della garza e similmente perforato. Pelle: una delle parti della realtà che può essere difficile da sopportare quando ci pensi. La vera fragilità, l’illusione del nostro contenimento. Ma non ci sono due modi per farlo.

In un’altra opera di Westerik, un singolo dito accartocciato indica un paesaggio di corpo nudo e cucito. C’è una sottile oscenità nella sterilità di questa immagine che ci ha già mostrato troppo, ci ha fatto avvicinare troppo. Il dito ricorda il tentativo di Adamo di raggiungere Dio nella Cappella Sistina, e quello di San Tommaso quando dovette toccare la ferita di Gesù per sapere che era reale nel dipinto di Caravaggio. La ferita di Westerik sarebbe quasi più sopportabile se fosse, come quella di Caravaggio, disponibile alla penetrazione. Invece non è né sicuro né dispiaciuto. Una linea sottile, come un sentiero inesplorato o un ruscello silenzioso.

Questa ferita è un ingresso o un’uscita; il luogo dell’intimità-con-intuizione o una cura per l’incredulità?

Cerco immagini cristiane qui perché il cristianesimo è così incredibilmente carnoso, e riguarda proprio il tipo di esposizione in gioco in questa mostra: essere nudi in pubblico, la vulnerabilità del corpo, la sua mortalità e l’identità con tutto il resto. Ma ciò che è anche cristianesimo è mentire, sognare, sperare. Cos’è un sistema di credenze diverso da uno stile di coping? E quindi cos’è questa particolare finzione

– qui in questa stanza – ci permette di farcela?

Le fotografie di Mark Barker delle griglie di ventilazione dei bagni mobili rappresentano le branchie della privacy. Le buone intenzioni installate in certi spazi molto a dispetto; se la misericordia fosse un geroglifico sarebbe così? I bagni giapponesi ti danno la possibilità di suonare un po’ di melodia mentre defechi. Di’ una piccola bugia. Resta ancora un po’. Una misura assurda, davvero. Ma una bella!

La pelle è solo la prima bugia della storia sul contenimento della soggettività, fuori nel mondo ce ne sono molte, molte di più.

Immagina la firma come una forma di cartografia. Firmi con il tuo nome su un documento importante e così facendo disegni una mappa di una terra vasta e strana. È così che ho imparato a pensare alla pratica espansiva di Tolia Astakhishvili: un andirivieni continuo tra lo schema di un singolo soggetto e una cosmologia. È un modo di vedere il mondo nella stessa cornice e alla stessa scala di un corpo individuale, o di un ricordo, o di un pensiero. Qualcosa di vivido come un sogno, e altrettanto sfuggente. Anche i disegni di Barker hanno quella tendenza a condensare in una linea l’orizzonte e un lembo di pelle, elemento del fantastico oltre che del vicino. Qui, lo stato che perde o completamente aperto dei nostri corpi non è una minaccia alla nostra integrità, ma un invito all’intimità che richiede altre forme di privacy, altre finzioni.

Credo si possa ritrovare in questa mappa di vene fluviali e sentieri cicatriziali e nel fantomatico andirivieni tra corpo e paesaggio, la menzogna a cui San Tommaso non credeva perché non aveva capito che il punto non era la realtà. Ha pugnalato la ferita quando avrebbe potuto semplicemente passarci sopra il dito per capire lo schema della trama. Perché c’è un modo per arrivare a una sorta di verità passando dalla porta sul retro insistendo sul fatto che è l’ingresso principale.

Kristian Vistrup Madsen

a Shahin Zarinbal, Berlino
fino al 17 dicembre 2022



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