Il disegno di legge recante “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy”, approvato alla Camera dei deputati il 7 dicembre scorso è diventato legge, in tempi record, grazie al sì del Senato giunto appena dopo 13 giorni. Un iter molto veloce se si pensa che il Ddl Made in Italy era stato presentato dal Governo agli inizi di agosto. Dei 59 articoli di legge, nello specifico, sei riguardano il comparto produttivo culturale che include le imprese, i professionisti della cultura, in particolare i creatori digitali e le opere di ingegno musicali, audiovisive e librarie.
Le novità
L’articolo 25 individua l’impresa culturale e creativa attribuendo la qualifica agli enti, indipendentemente dalla forma giuridica, e ai lavoratori autonomi che svolgono attività stabile e continuativa in Italia o nell’Unione Europea o nello spazio economico europeo, purché siano soggetti di imposta passivi in Italia. Le attività individuate sono l’ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la promozione, la conservazione, la ricerca, la valorizzazione e la gestione di beni, attività e prodotti culturali.
Tali attività, in forma singola o aggregata, devono essere svolte in via esclusiva o prevalente. Inoltre, si qualifica come impresa culturale e creativa chi svolge attività economiche di supporto, ausiliarie o funzionali all’ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali. Nella categoria rientrano a tutti gli effetti gli enti del Terzo settore e le imprese sociali.
Cessano di esistere quali riferimento i famigerati codici Ateco in quanto non rappresentativi della complessità e frammentarietà del settore e che tanto male hanno fatto all’intero comparto. La legge demanda a un successivo provvedimento le modalità e le condizioni di riconoscimento della qualifica e di revoca.
Sono identificate le start-up innovative culturali e creative e inoltre viene istituito presso le CCIAA una sezione speciale in cui le imprese culturali devono iscriversi con l’obbligo per il sistema camerale di trasmettere l’elenco ogni anno al Ministero della Cultura. Le diciture “Impresa culturale e creativa” o “ICC” diventano un marchio di riconoscimento e di qualità. Viene confermata la doppia iscrizione in un secondo albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale tenuto presso il Ministero della Cultura (art.26). Anche in questo caso si demandano a un successivo provvedimento le modalità di attuazione dell’albo.
Le principali novità sono contenute negli articoli 27 e 28, rispettivamente per quanto riguarda la definizione degli artisti creatori digitali, i quali sviluppano opere originali ad alto contenuto digitale. Per tali opere è istituito un apposito registro pubblico presso il Ministero della Cultura, ai fini di tutela degli autori.
Nell’articolo 28 vi è, invece, la previsione di adozione di linee guida per la conservazione e la fruizione anche della versione originale delle opere musicali, audiovisive e librarie custodite nelle discoteche, cineteche e biblioteche pubbliche, al fine di evitare che il riadattamento delle opere con nuovi linguaggi comunicativi e divulgativi sostituiscano l’originale e ne facciano perdere la memoria. È stato istituito un fondo di 3 milioni annui dal 2024 al 2033 (art. 29).
L’ultimo articolo dei sei specifici, (art. 30), prevede la realizzazione del Piano nazionale strategico triennale per la promozione e lo sviluppo delle imprese culturali e creative, di concerto tra il Ministero della Cultura, il Ministero delle imprese e del Made in Italy e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentita la Conferenza tra Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.