Le opere di Boccioni da vedere in Italia



Umberto Boccioni, Rissa in galleria, 1910, Milano, Pinacoteca di Brera, Dalla Collezione Emilio e Maria Jesi. Wikipedia Artista: Umberto Boccioni Dimensioni: 76×64 cm Data: 1910 Tecnica: olio su tela

“La lezione di Boccioni è stata alla base della progettazione dei miei avveniristici edifici come il Guggenheim di Bilbao. Le linee rette delle mie costruzioni, nella tensione a fendere l’aria, si sono deformate, diventando arco, parabola, appunto traiettoria”.
Parola di Frank Gehry. Anche se, l’archistar statunitense non è il primo dei moderni a essere stregato dall’arte del visionario Boccioni. Da anni, grazie all’impiego di digital animation e stampa in 3D, Matt Smith e Anders Rädén lavorano al progetto di ricostruire i gessi perduti del maestro, Forme uniche di continuità nello spazio, studiando da vicino le fotografie dell’epoca per entrare nella mente creativa dell’artista.
Dopo la sua morte, a soli 34 anni, le sculture di Boccioni vengono distrutte, fatte a pezzi da un anonimo artista ‘passatista’. Quelle che ammiriamo nei più importanti musei del mondo sono riproduzioni in bronzo.
Ma perché la scultura di Boccioni affascina ancora oggi così tanto il pubblico? Visionario, geniale, l’artista nato a Reggio Calabria non ha un luogo di origine, nessuna città gli appartiene. E lo stesso vale per i suoi capolavori immortali che oggi è possibile ammirare tra sale del Metropolitan Museum of Modern Art di New York, e in quelle dell’Estorick Collection di Londra, e, in Italia, al Museo del Novecento di Milano che vanta la più grande collezione pubblica del pittore.


FORMIDABILE BOCCIONI, Docufilm 54′, 2022 | Courtesy of ARTE.it Originals / .ITsArt / Rai Cultura

Seguendo idealmente le opere, in ordine di apparizione all’interno del documentario inedito FORMIDABILE BOCCIONI, disponibile in esclusiva su ItsART a partire dal 19 ottobre, data di nascita dell’artista, rintraccamo l’impronta dell’autorevole esponente del Futurismo nei musei italiani. Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, il documentario, una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura, snocciola le opere del primo attore del Futurismo, che dedicò l’intera esistenza a inventare un nuovo linguaggio contemporaneo capace di esprimere la modernità in pittura e in scultura.
“Il Museo del Novecento di Milano – dichiara nel docufilm il direttore del Museo del Novecento, Gianfranco Maraniello – ha una collezione unica al mondo di opere d’arte futuriste dove il ruolo di Boccioni è portante. Il nuovo allestimento, arricchito dai capolavori della collezione Mattioli, tra cui alcune delle opere più significative dell’artista, rende ancora più completa e preziosa la Galleria dedicata al Futurismo”.

Se lo Studio per la Risata del 1911 è patrimonio della Galleria Nazionale di Cosenza, e il bozzetto di La città sale del 1910 si trova alla Pinacoteca Brera, ecco dove ammirare da vicino la pittura di colui che sfidò secoli di immobilità, liberando una volta per tutte quest’arte dalle forme chiuse, e dalla bellezza classica.

Rissa in Galleria (1910), Pinacoteca di Brera, Milano
Dopo un periodo trascorso a Roma, deluso dal clima artistico della capitale dove i fermenti e le novità che si agitavano in Europa non trovavano alcuna risonanza, Boccioni nel 1906 decise di trasferirsi a Parigi. Inizia così un periodo di spostamenti, da un soggiorno in Russia al trasferimento a Milano, dove si stabilisce attratto dal nuovo spirito tecnologico che anima la città e dove stringe amicizia con i fondatori del movimento futurista, firmatari del primo Manifesto già nel 1909. In Rissa in galleria, dipinto nei mesi immediatamente successivi alla firma del Manifesto Tecnico della Pittura Futurista (1910), Boccioni esaspera la tecnica divisionista per studiare i movimenti della folla e dare vita a inediti effetti di luce e di dinamismo, accentuati dall’uso di vivacissimi colori complementari.
Protagonista del quadro è una folla di persone che si accalca di fronte alla buvette di Gaspare Campari (divenuta in seguito “Gran Bar Zucca” nella Galleria Vittorio Emanuele II di Milano), per prendere parte a una zuffa tra due donne.

Autoritratto, 1908, Pinacoteca di Brera, Milano
In questa tela Boccioni si ritrae sul balcone di quella che nel 1908 era la sua abitazione di Via Castel Morrone, angolo via Goldoni. Il balcone domina il paesaggio della periferia milanese, Lo sfondo è caratterizzato da case in costruzione mentre si vede un treno percorrere il cavalcavia Acquabella, oggi demolito, anticipazione delle tematiche futuriste degli anni successivi. “Dal primo del mese mi trovo in casa di mamma, lontano da quell’antipaticissima padrona e mi trovo abbastanza bene. In quella casa ho finito l’autoritratto che mi lascia completamente indifferente”. Così scriveva il pittore il 13 maggio 1908 a proposito della sua opera.

Meriggio. Officine di Porta romana, 1909-10, Galleria d’Italia, Milano
Quando, nel 1907, Boccioni arriva a Milano porta avanti lo sviluppo del suo linguaggio espressivo. Con la crescita commerciale e industriale, con il suo evolversi in una metropoli moderna, la città è la cornice perfetta per accogliere la poetica futurista. In Officine a Porta Romana un’inedita inquadratura, dilatata in orizzontale, domina la scena nella quale sono evidenti le diagonali che conferiscono solidità alla struttura compositiva. L’esasperazione delle linee di fuga, nonché l’utilizzo della tecnica divisionista portata all’eccesso, rendono l’immagine fortemente dinamica.
Lo spettatore è investito da questa esplosione di contrasti cromatici, nuclei di colore raggrumati pieni di energia e ai quali si sovrappongono fasci di luce discendente, bilanciati dai vapori opachi delle ciminiere che sbucano in lontananza.
Questa spasmodica intensificazione cromatica caratterizza l’estrema fase divisionista di Boccioni e precede la prime scomposizioni della forma.


Umberto Boccioni, Meriggio. Officine a Porta Romana, 1910, Olio su tela, 145 x 75 cm, Collezione Intesa Sanpaolo Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milano

Forme Uniche della continuità dello spazio, 1913, Museo del Novecento, Milano
Emblema del dinamismo impresso dalla nuova cultura futurista, quest’opera, gioiello del Museo del Novecento, è diventata un’icona universale, riprodotta in milioni di esemplari sulle monete da 20 centesimi di euro. L’opera, il cui originale è in gesso, è simbolo della produzione scultorea futurista dell’artista, finalizzata a riprodurre la velocità e la forza del dinamismo nell’arte. La copia in bronzo è stata prodotta solo dopo la scomparsa di Boccioni per volere di Filippo Tommaso Marinetti.
L’idea non è semplicemente quella di rappresentare un uomo che cammina, ma di rendere una forma unica in un movimento che è quello della materia nella continuità spazio-temporale.


Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it

Tre donne, 1909-10, Gallerie d’Italia, Milano
In questa tela, che segna l’esordio di Boccioni sulla scena milanese, l’artista ricorre alle figure della madre Cecilia, della sorella Amelia e della modella Ines per rappresentare le tre età della donna, trasformando, attraverso la luce, le tre figure statiche in un vortice dinamico che genera tra le donne legami affettivi. Seduta in posizione rilassata, il volto rigato dal tempo, il morbido chignon d’argento, la madre dell’artista, Cecilia Forlanini, sbuca da un triangolo immaginario, con sottili linee colorate che delineano il lungo e ampio vestito dove dominano le tinte verdi. Anche Amelia è sorridente. I raggi del sole si insinuano tra i capelli, il libro stretto alla mano sinistra, tra il bianco, il verde, l’azzurro, il blu e il rosa dell’abito, tratteggiati con pennellate decise e linee verticali. Un’espressione malinconica avvolge invece Ines, l’amata musa di Boccioni, dalla quale si allargano linee bianche che enfatizzano la fusione dei due corpi.


Umberto Boccioni, Tre donne, 1809-1810, Olio su tela, Milano, Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Collezione Intesa san Paolo

Stati d’animo (prima serie), 1911, Museo del Novecento, Milano
Il Museo del Novecento conserva la prima versione del ciclo Stati d’animo, realizzato nel 1911. La seconda versione si trova oggi al MoMA. Il titolo Stati d’animo racchiude tre dipinti con i quali Boccioni ha voluto rappresentare i sentimenti delle persone che partono e che restano in una stazione ferroviaria. Addii è la tela che ritrae la confusione, nel momento in cui la gente si saluta abbracciandosi sui binari accanto alla locomotiva. Le linee sono circolari, i colori vivi.
Il secondo dipinto è dedicato a Quelli che partono, i volti tagliati dalla velocità del movimento, con i toni del blu e dell’azzurro a trasmettere il senso di malinconia tipica di ogni partenza. Quelli che restano, soggetto del terzo dipinto, è un trionfo di linee verticali, a indicare le persone che rimangono sul binario, mentre il colore verde esprime lo stato d’animo dell’abbandono.


Umberto Boccioni, Stati d’animo – Quelli che vanno, 1911, Olio su tela,  95.5 x 71cm | Courtesy of Museo del Novecento, Milano

Materia, 1912 Museo del Novecento, Milano
Materia fa parte della collezione Gianni Mattioli, perla del percorso espositivo del Museo del Novecento. La tela raffigura, a figura intera, la madre dell’artista, seduta nella sua casa frontalmente, mentre dà le spalle a un balcone che domina il paesaggio urbano retrostante. Questa scelta contribuisce a fondere in un’unica “visione simultanea” la percezione ottica di due soggetti distinti, il paesaggio metropolitano e la madre dell’artista. Le mani della donna, incrociate e giganti, caratterizzano il fuoco del ritratto. Lo scenario urbano si integra perfettamente con la figura femminile. Un flusso di energia, creata dai colori, si diffonde in ogni direzione. L’opera vuole rappresentare il moto assoluto, la forza del moto insita nell’oggetto nella sua struttura organica, elementi che poi saranno trasferiti da Boccioni nella scultura per dare vita a un insieme polimaterico che contenga la sintesi tra la figura e il suo ambiente.

Dinamismo di un cavallo in corsa + case, 1915, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
All’indomani della pubblicazione del suo Manifesto Tecnico della Scultura Futurista, l’11 aprile 1912, Umberto Boccioni si volse alla scultura. In piena linea con i presupposti estetici del documento che prevedevano, in una sola opera, l’impiego dil’artista associa legno, cartone e metallo parzialmente dipinti in un uso futurista dei piani, influenzato dal Cubismo di Pablo Picasso e Georges Braque.
Boccioni ricorre all’immagine del cavallo per dimostrare come la qualità della percezione visiva generi l’illusione di una fusione di forme.


Umberto Boccioni, Dinamismo di un cavallo in corsa + case, 1915, Guazzo, olio, legno, cartone, rame e ferro dipinto, 115 x 112.9 cm, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim | Courtesy Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)

Elasticità, 1912 Museo del Novecento, Milano

Considerata una delle opere più significative di Boccioni, Elasticità rappresenta il moto relativo dell’oggetto in un ambiente fluido. Nell’opera è possibile cogliere tutti gli elementi figurativi tipici della pittura futurista: il moto del cavallo in primo piano e i rimandi al progresso con lo scorcio sulle fabbriche in lontananza.


Umberto Boccioni, Elasticità, 1912, Olio su tela, 100 × 100 cm | Courtesy of Museo del Novecento, Milano

Sviluppo di una bottiglia nello spazio, 1913, Museo del Novecento, Milano
Nell’opera è presente una bottiglia poggiata su un piatto. Le due figure formano una natura morta con la quale l’artista restituisce il gioco dinamico che sta alla base dei suoi lavori attraverso una visione vorticosa dei due elementi, dando movimento al tutto. Oltre all’esemplare fuso nel 1935 dal gesso originale e oggi esposto a Milano, ne esistono altri quattro, fusi in diversi momenti.

Ritratto antigrazioso, 1912, Galleria nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Conosciuto anche come La madre, il busto di Antigrazioso è uno dei pochi esempi superstiti delle sculture futuriste eseguite da Boccioni nel 1912 e 1913 ed esposti alla Galerie 23 di Parigi nel 1913. Questa scultura in gesso patinato, conservata alla Galleria nazionale d’Arte Moderna di Roma, rappresenta la scomposizione futurista del volto della madre di Boccioni, ripreso nel dipinto Materia. Dell’opera il Metropolitan Museum di New York conserva una fusione in bronzo del 1950-1951.
Boccioni porta a termine la sua sperimentazione attraverso la quale aveva liberato la scultura dalle forme chiuse e dalla bellezza classica.

Ritratto del maestro Busoni, 1916, Galleria nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
L’amicizia tra Boccioni e il compositore e pianista Ferruccio Busoni risale al 1912, quando Busoni acquista La città che sale in occasione della mostra futurista presso la Galleria Sackville di Londra. A lui è dedicato il ritratto oggi conservato presso la Galleria nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. La pennellata strutturata e la gamma cromatica impostata sui toni del verde e del blu racchiudono tutta la riflessione sul linguaggio pittorico di Cèzanne che Boccioni andava approfondendo nel periodo che precede di poco la sua prematura scomparsa. Una ricerca che segue gli studi sullo spazio già intrapresi durante la fase futurista.


Umberto Boccioni, Ritratto del Maestro Busoni, 1916, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

Carica di lancieri, 1915, Museo del Novecento, Milano
Come al centro di una fotografia, un serrato gruppo di lancieri procede in avanti per caricare il nemico, inarrestabile. Le linee oblique orientate nello stesso senso, al centro, si contrappongono alle linee curve di destra, mentre a sinistra e in basso prevalgono campiture circolari. A dominare la scena, al centro dell’immagine, è un gruppo ordinato di soldati che procede a cavallo verso sinistra con le lance abbassate. In basso, i soldati nemici sono addossati al bordo del dipinto, mentre sullo sfondo si intravedono stralci di carta stampata. Carica di lancieri rappresenta l’interpretazione di un’azione bellica della Prima Guerra Mondiale da parte di Umberto Boccioni e fa parte di una serie di opere che i futuristi dedicarono alla celebrazione della guerra.

Donna al caffè – compenetrazione di luci e di piani, 1912-14, Museo del Novecento, Milano
Anch’essa custodita al museo del Novecento di Milano, la tela mostra una donna seduta in un caffè, di fronte a un piatto con un cucchiaino, un bicchiere, delle zollette di zucchero.

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